Chiesa Melchita

LA STORIA DELLA CHIESA GRECO-MELCHITA CATTOLICA

LA STORIA DELLA CHIESA GRECO-MELCHITA CATTOLICA

La Chiesa Greco-Melchita Cattolica è una Chiesa patriarcale di tradizione Antiochena, e di origine apostolica che si è diffusa nel Medio Oriente e nei diversi Paesi nel mondo. I fedeli sono in maggioranza arabi o di origine araba in diaspora o non arabi che sono stati accolti in essa in seguito. La Chiesa Melchita conserva la tradizione bizantina sia nella liturgia sia nella disciplina. La sua Gerarchia gode di una relativa autonomia, l’ordine gerarchico è il seguente: il Patriarca “Pater et Caput” della Chiesa in comunione con il Romano Pontefice, i Vescovi eparchiali, il clero, i monaci, le monache e i fedeli.

La Chiesa Greco-Melchita nel primo millennio

La Chiesa Greco-Melchita è nata nel V secolo dopo la dichiarazione di Marciano (392-457), imperatore di Costantinopoli, che impose i decreti del Concilio di Calcedonia 451 come legge dello Stato. I Melchiti sono coloro che hanno accettato questo Concilio che decretò la cosiddetta dottrina “cristologica”: Gesù, unigenito Figlio di Dio, è veramente Dio e veramente Uomo, ed hanno abbandonato la dottrina dei Nestoriani e dei Giacobiti per seguire la legislazione e la fede dell’imperatore Marciano.

La parola “Melchita” deriva dall’arabo: la sua radice è “Malaka” (In arabo ملك malik ha lo stesso significato della parola greca βασιλεύς Alcuni dicono che la parola “Melchiti” derivi dal Siriaco “malko”.), cioè re, e la parola “Melchiti” significa: “coloro che appartengono al re”. Questo termine fu usato originariamente come insulto per riferirsi ai fedeli degli antichi Patriarcati di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, che accettarono la fede professata dall’Imperatore Marciano (392-457). Dopo l’unione con Roma, nel 1724, venne usato il termine Melchiti solo per i fedeli cristiani Siriani, Palestinesi ed Egiziani che parlano l’arabo e professano la “religione” greca.

Dopo che la Siria fu occupata dall’Impero romano, cioè dal 64 a.C. fino al 395 d.C. si diffuse in quei territori la cultura ellenistica che si protrasse anche sotto l’impero Bizantino dal 395 fino al 638: in tale contesto culturale si rafforzò la lingua greca. Nel settimo secolo, dopo l’invasione e l’occupazione degli Islamici, la lingua greca si andò indebolendo nel Medio Oriente e si andò diffondendo la lingua araba.

Durante il governo dei Musulmani si riconobbero i Cristiani melchiti come Cattolici e furono fissate le divisioni dei Cristiani secondo i diversi gruppi rituali riconoscendoli nel sistema legislativo come comunità autonome. Nell’epoca islamica una certa autonomia dei Cristiani non era soltanto limitata all’ambito giuridico interno, cioè ecclesiastico, ma anche nel praticare la religione. Nell’ambito politico avevano la libertà limitata e dovevano per questo pagare le tasse Al-ğīzīah ai Musulmani in quanto erano considerati “rimpatriati”, cioè Al-Dhimma, soggetti alla legge musulmana. L’autonomia legislativa non impedì ad alcuni canonisti cristiani di appoggiarsi al diritto musulmano per risolvere alcune discordie perché la legislazione islamica era più permissiva e conveniva applicarla. I Patriarchi e i Vescovi dell’epoca dell’Islam erano considerati dai musulmani capi e giudici del loro popolo mentre i cristiani laici non potevano assumere uffici politici: per questo motivo si dedicavano alle professioni libere ricoprendo uffici culturali, specialmente compiti di traduzione o di medicina. All’epoca degli Abbasidi, cioè tra l’ottavo e il tredicesimo secolo, l’impegno dei cristiani si ampliò fino al punto che potevano ricoprire cariche pubbliche anche elevate, come l’ufficio di ministro, cancelliere, cioè Kātp.

 La Chiesa Melchita nel secondo millennio

Nel secondo millennio crebbero nella Chiesa Melchita i tentativi di unione con la Chiesa latina, tentativi però che rimasero tali fino al 1724, anno in cui avvenne “l’unione” di alcuni Greci ortodossi con la Chiesa latina.

Dal 1045 al 1724

La Chiesa Melchita, con l’arrivo dei Crociati, dal 1098 fino al 1291, fu sottomessa ecclesiasticamente all’autorità del Patriarcato di Costantinopoli. Nel secolo XII, dopo il grande scisma del 1054, la presenza dei Crociati latini fece aumentare l’odio dei Melchiti contro Roma; anche se allo stesso tempo però i Melchiti non cessarono di tenere contatti con il Romano Pontefice, all’insaputa della Chiesa di Costantinopoli e dei Governatori civili. Grazie anche alla buona volontà di Butros III Patriarca di Antiochia (1052-1056) che volle assumere il ruolo di arbitro tra Roma e Costantinopoli, e del Patriarca Teodosio IV Villehardouin (1275-1283/1284) si intensificarono i rapporti tra la Chiesa di Roma e la Chiesa Greco-Melchita Cattolica.

Durante l’occupazione dei Mamelucchi, dal 1250 fino a 1516, questi volevano interrompere i rapporti con Roma a causa delle prepotenze dei Crociati e il crudele maltrattamento dei Mamelucchi nei confronti dei Cristiani; anche se si evitò la rottura, i rapporti rimasero tuttavia molto tesi.

I Patriarchi di Antiochia dunque, che erano scelti dal clero Melchita, continuarono, pur sotto il controllo ortodosso, a mantenere buoni rapporti con Roma, anche se parte del clero preferì seguire il Patriarca per mantenere i suoi rapporti con Costantinopoli nonostante gli Ottomani avessero la volontà di separare l’Oriente dall’Occidente.

La fase della “pre-unione” cominciò quando la Sacra Congregazione de Propaganda Fide, attorno al 1625-1627, mandò ad Aleppo, con l’autorizzazione del Pontefice Urbano VIII, i missionari Gesuiti, i Cappuccini ed i Carmelitani per servire la comunità orientale, per espandersi o piuttosto per recuperare le Chiese Orientali all’unione con la Chiesa di Roma facendole tornare “all’ubbidienza”. I missionari latini entrarono facilmente mediante l’appoggio e la benevolenza di alcuni Vescovi locali, e agevolati anche dall’amicizia tra Francia e Impero ottomano: in Oriente furono considerati “i fratelli della fede”. Il Metropolita dei Greci Melchiti Cattolici di Aleppo, Malatios Karmeh, aiutò i missionari latini ad operare nel loro apostolato; così fecero anche gli altri Vescovi e Patriarchi, i quali non cessarono di tentare di arrivare all’unione. Alcuni Melchiti sia laici o chierici si trovarono in difficoltà in questa nuova situazione ecclesiale dopo l’evangelizzazione latina, soprattutto nell’inserimento della fede cattolica latina attraverso i consigli durante la confessione. I melchiti però volevano conservare la tradizione orientale propria ed anche la loro identità culturale, quindi rimasero fedeli al Patriarca ecumenico in opposizione all’Occidente, cioè al Romano Pontefice, contro ogni latinizzazione.

Con la consegna di Damasco ai Turchi, fino alle soglie della prima guerra mondiale del 1918, niente cambiò nel modo di governare la città, mutò solo il nome del “Governatore” che fu chiamato col titolo di “Pascià”. Il Pascià aveva tutto il potere concesso dall’imperatore ottomano ed a lui doveva rendere conto. L’impero Ottomano impedì la comunicazione tra le Chiese Orientali e la Chiesa di Roma e le altre Chiese che si trovano fuori dai territori, cioè della “diaspora”.

A partire dal 1918 la Siria fu sottomessa al Mandato francese fino all’indipendenza nel 1946. In quest’epoca il ruolo culturale politico dei Cristiani fu prevalentemente quello dell’istruzione ed dello studio delle scienze, e ciò contribuì non poco alla rinascita araba.

A livello ecclesiastico i Romani Pontefici, dopo il grande scisma, non cessarono di tentare di unire questo gregge separato. La soluzione, prospettata secondo Josef Nasrallah, sarebbe stata semplice: sarebbe bastato che le due Chiese si togliessero reciprocamente la scomunica e che ritornassero a vivere in comunione tra loro. La preoccupazione della Chiesa di Roma per tale unione la spingeva a fare, a suo modo, alcuni tentativi che però non ebbero buon fine, come il tentativo fatto durante il Concilio di Firenze nel 1439, il quale non ebbe buon esito. Furono fatti altri tentativi quando la Sede di Antiochia, nel 1686, era occupata da due Patriarchi nello stesso tempo: da una parte il Patriarca Athanasios che risiedeva a Damasco e dall’altra il Patriarca Kyrillos che risiedeva ad Aleppo. Il Patriarca Athanasios non riuscì a realizzare l’unione con Roma fino alla sua morte, mentre il Patriarca Kyrillos mandò la sua professione di fede cattolica a Roma nel 1709, riconoscendo l’autorità del Pontefice Sisto V. Purtroppo la sua morte, avvenuta nel 1720, interruppe questo processo di unificazione così il gregge rimase diviso.

Dal 1724 fino al 2000

Nel 1701 il desiderio della Chiesa Melchita di unirsi alla Chiesa di Roma toccò il vertice nella persona del Vescovo di Sidone Aftìmos Al-Sàifi: dopo l’aiuto offerto dalle missioni cattoliche latine in Medio Oriente al clero Melchita affinché quest’ultimo potesse perfezionare la propria formazione, si incrementarono i rapporti tra Latini e Melchiti. Il Vescovo Aftìmos Al-Sàifi, (1643-1723) mandò alla Santa Sede la sua professione di fede il 20 dicembre 1683, e questo segnò l’origine dell’unione con Roma. Il 6 dicembre 1701 fu nominato dalla Santa Sede l’Amministratore Apostolico per tutti i Melchiti con il decreto della Sacra Congregazione de Propaganda Fide, col quale, si concedeva ai preti melchiti la facoltà della confessione. A causa di tutto ciò, il Vescovo patì sofferenze e prigionia e persino la scomunica da parte degli Ortodossi.

Dopo la morte di Athanasios III (15 agosto 1724), gli “αρχóντες”, nobili di Damasco, assieme al clero appena ebbero la notizia che la Sede patriarcale era vacante, si affrettarono ad eleggere un altro Patriarca favorevole ai cattolici: Serafìm Tanas, nipote di Aftìmos Al-Sàifi. La sua ordinazione patriarcale fu problematica perché dei tre Vescovi necessari per la valida ordinazione, uno non era di orientamento cattolico. Così ricorsero ad una maniera illecita per avere il terzo Vescovo. I tre Vescovi ordinarono Serafìm Patriarca nella Cattedrale Al-Màriamye, con il nome di Kyrillos VI Tanas, il 20 settembre 1724. Il neo Patriarca presentò la sua professione di fede, secondo il formulario di Urbano VIII, a Benedetto XIII il quale lo riconobbe Patriarca di Antiochia cinque anni dopo, il 15 marzo 1729, e gli consegnò il Pallio il 3 febbraio 1744 con la lettera Dum Nobiscum mediante il Delegato Apostolico Dositheo il Cappuccino. Subita la scomunica da parte del Patriarca ortodosso Silvestros, il Patriarca Kyrillos e i suoi Vescovi riconobbero l’autorità del Pontefice sulla Chiesa Greca-Melchita Cattolica. Il Patriarca cattolico non ebbe mai il riconoscimento civile, cioè Al-Bara’a, dal Sultano Othman Taouk. Tale riconoscimento giunse solo dopo che il Patriarca Maximos III Mazloum ottenne l’indipendenza civile della Chiesa Melchita dagli Ottomani, il 31 ottobre 1837.

L’altra parte della Chiesa Melchita, cioè quella ortodossa, appoggiava il monaco Aleppino Silvestros (?-1766), originario di Cipro, eletto Patriarca dal Sinodo della Chiesa Ortodossa in Costantinopoli e consacrato dal Patriarca Irmìa III il 27 settembre 1724. Il Patriarca Silvestros non si arrese facilmente e continuò a perseguitare il Patriarca Kyrillos, il quale fuggì in Libano nel gennaio 1725.

La Chiesa Melchita era divisa in due parti: una parte sotto l’influenza di Costantinopoli, detta degli “Ortodossi Antiocheni”, l’altra detta dei “Melchiti Cattolici”, che avevano celebrato l’unione con Roma. Le opinioni, all’interno di tutta la Chiesa Melchita erano contrastanti: c’era chi vedeva nella Chiesa di Roma un’occasione di salvezza e chi considerava i missionari latini incapaci di comprendere la tradizione orientale. Nonostante il persistere di tanta inquietudine, i Vescovi e i Patriarchi non cessavano di difendere all’unanimità la legislazione orientale malgrado l’unione celebrata con la Chiesa di Roma. Valga come esempio ciò che accadde con il Patriarca Grigorios II Sayyour. Quest’ultimo appariva davanti agli altri contrari a Roma dal momento che rifiutò di firmare gli Atti del Concilio Vaticano I. Solo quando venne a Roma per la sua visita alla Santa Sede, cioè ad Limina, nel 1894, firmò; in quell’occasione però non mancò di far sentire con veemenza la voce dell’Oriente in difesa delle sue tradizioni.

I Melchiti inizialmente usavano il rito alessandrino o antiocheno; in seguito, dopo la dominazione bizantina, adottarono il rito greco-bizantino. La lingua di questa Chiesa fin dalle origini e per quattro secoli, fu la greca; dopo si diffuse la lingua siriaca e araba.

La Sede principale fu Antiochia fino alla sua caduta nel 1431; dopo, il Patriarca melchita Michele VI (?-1581) spostò la Sede patriarcale a Damasco dove è rimasta fino ad oggi come Sede principale ufficiale in Siria per le due Chiese melchite.

La disciplina della Chiesa Melchita è fondata sui Concili Ecumenici, soprattutto sul Concilio di Trullo e il secondo Concilio di Nicea, e sulle norme emanate dai grandi Sinodi celebrati in essa, quali il Sinodo di Qorqofa (1806), il Sinodo di Ain Traz (1835) e il Sinodo di Gerusalemme (1849).  Il calendario seguito fino al tempo del Patriarca Climàndos Bahouth era il Giuliano; per sua disposizione nel 1860 fu poi adottato il calendario Gregoriano, che fu motivo di ulteriori malcontenti fino al rischio di un altro scisma.

Il nome della Chiesa Greco-Melchita Cattolica è stato discusso in diversi Sinodi di Ain Traz negli anni (1951) (1952). Dopo che i Padri sinodali hanno preso atto degli studi e delle osservazioni fatte dal Padre Henri Mosie e i Vescovi Gioàrgios Hakim (1908-2001) e Butros Kamel Mudawar (1886-1985), hanno deciso di lasciare per gli affari legali il nome “la Nazione [Tāʾfa ] Greca Cattolica”. Il cambiamento del nome ufficiale è stato motivo di preoccupazione in diversi Sinodi melchiti. In particolare, nel Sinodo di Ain Traz (1957) il Vescovo Mišil Assāf (1887-1970) ha proposto di cambiare la parola “Nazione” con la parola “Chiesa”; i Padri sinodali hanno accettato la proposta conservando la parola Nazione solo in qualche occasione. Il Sinodo di Ain Traz (1963) ha adottato il nome “Chiesa Greco-Melchita Cattolica” ed ha vietato l’uso del nome “Chiesa Uniate”. Questo però fino al Sinodo di Ain Traz (1968): in questo Sinodo è stato ripreso l’uso della parola “Nazione” al posto della parola “Chiesa”. Successivamente, con la richiesta del Vescovo Elias Zoghby (1912-2008) al Sinodo di Damasco (1977), i Padri sinodali hanno deciso di usare il nome già approvato: “Chiesa Greca Melchita Cattolica”, e il nome ufficiale è diventato “La Chiesa Patriarcale di Antiochia e di tutto l’Oriente”.

La Chiesa Greco-Melchita Cattolica cresceva, nel tempo, riguardo al numero dei fedeli e del clero; la sua gerarchia portava ricchezza spirituale e culturale. Essa assume così una missione di ponte tra Occidente ed Oriente, rivestendo un importante ruolo ecumenico tra le Chiese; inoltre essa rafforza il suo essere Chiesa degli Arabi e mantiene rapporti anche con i Musulmani.

La situazione attuale della Chiesa Greco-Melchita Cattolica

Attualmente, la Chiesa Melchita è retta dal Patriarca Grigorios III Laham, eletto dal Sinodo di Rabweh il 29 novembre 2000, il quale, subito dopo la sua elezione patriarcale, ha chiesto alla Santa Sede, così come era stato richiesto precedentemente da altri Vescovi, di conservare il titolo di Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente, con l’aggiunta del titolo personale concesso dalla Santa Sede: Patriarca di Alessandria e di Gerusalemme. Nel Sinodo di Ain Traz (1948) i Padri sinodali hanno deciso di aggiungere al titolo di Patriarca “e di tutto l’Oriente”: così il titolo diventa, “Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente e di Alessandria e di Gerusalemme”, anche se la Santa Sede fino ad oggi non tollera questa posizione. Da notare che il riconoscimento ufficiale al Patriarca ed alla sua giurisdizione si estende nei Paesi di Siria, Libano, Iraq, Palestina, Giordania, Egitto, Tunisia, Libia, Algeria, Sudan, Etiopia, Emirati Arabi, Golfo Arabo, Turchia, Iran, come anche la sua giurisdizione si estende a tutti i fedeli Melchiti Cattolici nel mondo.

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